TITO BALESTRA

Diranno di me: ‹‹Era goffo
maleducato vanesio, col fegato
rovinato e pronunzia da contadino.››

Tito Balestra, Diranno,
da Quiproquo, Garzanti, 1974

Biografia

«Si incontrava Tito, alla sera, alla “Vetrina” di Chiurazzi. La testa piegata all’indietro le palpebre pesanti, il mozzicone di sigaro, e il suo silenzio nelle conversazioni. Parlava di rado ma sempre in modo conclusivo. Come un prestigiatore faceva di tanto in tanto apparire dalle pieghe dei suoi vestiti una stampa di Goya o di Daumier, o un epigramma. Era un uomo colto e segreto, un amico sicuro, sul quale si poteva contare, disinteressato e senza compromessi». Queste le parole di Renato Guttuso per descrivere l’amico.

Una figura particolare, enigmatica e un raffinato cultore dell’arte; Tito Balestra nasce a Longiano il 25 luglio del 1923, da Flaminio e Santa Urbini. Dopo le scuole dell’obbligo, si iscrive all’Istituto Magistrale di Forlimpopoli e nel 1939 alla Facoltà di Lingue dell’Università di Venezia, abbandonata, nel 1942, per quella di Magistero di Urbino, poi lasciate entrambe a causa dei professori «che non riconoscono agli studenti indipendenza di giudizio».

 

Tra il 1941 e il 1946 partecipa alla lotta partigiana, guadagnandosi un “Certificato al Patriota”; l’impegno civico lo porta a vestire, per breve tempo e controvoglia, prima le vesti di assessore, e poi (nel giugno 1945 per sole due settimane) quelle di vicesindaco, sotto la guida di Giovanni Sesto Menghi, primo cittadino ma anche pittore e presidente del locale Comitato di Liberazione Nazionale. Negli stessi anni Tito inizia a collaborare con alcune testate e riviste quali «Il Resto del Carlino», «Il Corriere Padano», «Il Corriere Cesenate», «Il Trebbo», «La Piè».

Evento centrale nella vita del poeta è il trasferimento a Roma, nel settembre del 1946 (dove Attilio Bertolucci riteneva vivesse “non da nostalgico ma da provinciale che soffre”) per seguire, vincitore di una borsa di studio, i corsi del Cepas (Centro di Educazione Professionale per Assistenti Sociali) diretti da Guido Calogero; lì incontra la futura moglie Anna Maria De Agazio. 

Scrive ad un amico, nel dicembre dello stesso anno:

«Da quando sono a Roma, non ho scritto riga. Per la verità qualche verso, piuttosto malandato. Non c’è niente da fare caro Cino, quando la pigrizia è congenita.

T’illudi da principio. Cambi ambiente, una vita più intensa, elementi nuovi. Frottole. Superato l’interesse iniziale ricadi. E diventi pessimista; se la parola ti sembra grossa, scontento.

E quando stai per affondare perché hai perduto la fiducia, ti capita fra coppa e collo un inconveniente. Come a me. Ridi pure; e ti vedo ridere; né puoi far altro, se ti chiarisco il genere. Sentimentale. Non ti par vero, di? Il cinico Balestra, quel fesso che crede d’essere padrone di se stesso, di dominare i propri impulsi, sulla strada di prendere la cotta. Una cotta intellettualoide, mezzana la poesia. Ti sai figurare un Montale intermediario? Un Lorca forse, è comprensibile. Ma il miracolo (o il guaio) D’Ossi di Seppia, no.»

Proprio fra le vie della Città Eterna Tito, tramite l’amico bolognese Arnaldo Bartolini, conosce Tanino Chiurazzi, di cui diviene presto amico, il quale, nello stesso anno aveva aperto in via del Babuino la Galleria d’arte “La Vetrina”, passando dall’omonima formula alle esposizioni temporanee. Nella galleria di via del Babbuino stringe amicizie con artisti, scrittori e collezionisti, anche con quelli che arrivavano da Firenze, da Bologna, da Genova, da Milano e da Messina, in più occasioni conosciuti nelle redazioni dei giornali, fra i quali: Alvaro, Bartolini, Bassani, Belli, Bilenchi Bonuglia, Cassola, Comisso, Consagra, Cugurra, Dalla Chiesa, D’Arrigo, Delfini, De Libero, De Pisis, Della Ragione, Flaiano, Frattini, Gatto, Guttuso, Leoncillo, Longanesi, Maccari, Mafai, Mazzullo, Mezio, Velso e Dora Mucci, Natta, Omiccioli, Palazzeschi, Pannunzio, Penna, Perilli, Pirro, Raimondi, Reale, Paolo Ricci, Sacripante, Sinisgalli, Sonego, Stradone, Tallarico, Tomea, Ciccio Trombadori, Ungaretti, Valsecchi, Vicari, Vivaldi.

 

Segue con regolarità l’andamento della galleria dell’amico e la cura di mostre che gli permettono di conoscere a fondo l’opera degli artisti che comincia ad amare e a rivedere nei loro studi: Rosai, Mafai, Maccari, Enotrio, Tomea, Manzù, Morandi, Vespignani, Vangelli e Guttuso.

Diventa così un testimone d’eccezione della grande stagione romana (nella galleria di Chiurazzi prima, nella “Don Chisciotte” di Giuliano de Marsanich poi) e, in questi anni, comincia anche a raccogliere opere per una propria collezione d’arte a gusto ed uso totalmente personali.

Peculiare, fra le altre, l’amicizia con Mino Maccari, con cui condivide una fitta frequentazione e che vedrà il pittore, nel 1956, essergli testimone di nozze. Nel 1966 Tito organizzerà all’artista una personale a Longiano.

Parallelamente all’amore per l’arte, Balestra continua a coltivare la sua “necessaria” passione per la poesia e la scrittura, di quando in quando, rivelata attraverso la collaborazione con testate giornalistiche (tra cui «Il Mondo», «Il Tempo Presente», «L’Avanti», «L’Italia Socialista», «Il Caffè», «Botteghe Oscure») e, in seguito, con la pubblicazione di alcune raccolte poetiche.

 

«Balestra è un poeta – come scrisse Alfonso Gatto – che non ha avuto fretta di stampare, è un poeta che soltanto gli amici sapevano che scrivesse poesie, epigrammi, satire e che ha dato a tutti sicurezza di sé, innanzitutto con il suo comportamento umano, con le sue scelte umane, col suo buonumore, col suo malumore, col gusto della vita che egli ci ha sempre comunicato.” “La poesia di Balestra non si esaurisce nell’esempio satirico, nell’esempio drammatico. La poesia di Balestra oltre a essere questa è anche la cultura che ha di se stessa poeticamente, è una poesia che nella sua apparente popolare immediatezza è molto colta, nutrita proprio di buon sangue e di succhi antichi. »

La poesia di Balestra, sostenne Attilio Bertolucci «[…] non ha quasi mai spessori di colore, è in bianco e nero, senza sbavature, come Maccari grafico. […] Tito Balestra non è un poeta nuovo, è un poeta diverso che la diversità non cerca, trova in se stesso. »

L’opera poetica di Balestra vede la stampa in un volume, per la prima volta, nel 1974, quando L’Arco Edizioni d’Arte pubblica Se hai una montagna di neve tienila all’ombra, corredata da sei acqueforti di Maccari, scelte in un campionario appositamente eseguito dall’artista; nello stesso anno Garzanti pubblica un’altra raccolta: Quiproquo. Sempre da L’Arco Edizioni, nel 1975, stampa Le gambe del serpente, undici poesie in cinquantadue esemplari in occasione del suo cinquantaduesimo compleanno, e nel 1976 Oggetto: la via Emilia, con quattro acqueforti di Alberto Sughi.

Tito Balestra muore a Longiano il 19 ottobre del 1976.

Lo stesso giorno della sua scomparsa esce a Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro di Vanni Scheiwiller, Poesie di Liestal, con le parole di Alfonso Gatto pronunciate all’Arco il 7 novembre 1975 e tre illustrazioni di Henry Goetz.